IL VINO NEL MONDO ANTICO
Il visitatore che solo si appresti ad entrare nella sala I, catturato dal grafico a tutta parete di un carico anforario visto in sezione, con anfore vinarie alla base, è subito immesso nel “Mediterraneo di scambi” caro a Braudel. L’avvio del percorso ne richiama l’attenzione sulle Cicladi, ponte naturale tra area microasiatica – dove il vino era bevanda riservata a sacerdoti e re – e l’area continentale. Le due grandi brocche in argilla arancio lavorate e levigate a mano (Gruppo di Amorgos, III millennio a.C.) evocano gli agili navigli cicladici, tra i primi a diffondere la viticoltura. Seguono versatoi ittiti e siro-ittiti di forma evoluta, lucidati e segnati da simboli, databili tra 3200-2200 a.C., vasi e coppe vinarie d’uso in Grecia, Etruria, in ambito romano, dal VI sec. a.C. al IV d. C. Al centro della sala, relativa al simposio, è la kylix (metà VI sec. a.C.) di uno dei più noti Piccoli Maestri, con la scritta “Phrinos mi fece sii allegro”.
Particolare attenzione va al corredo vinario etrusco in bronzo e ai reperti a latere; alla ceramica corallina e ai vetri romani, all’askòs bronzeo attestante il livello di vita delle ville partenopee alla vigilia della grande eruzione. Distaccate dalla concezione della Villa di età schiavistica – compatta unità socioeconomica – la pars urbana aveva preso il sopravvento sino a divenire la Villa d’otium d’alta rappresentanza, atta al gioco sociale come a quello politico.
La pianta con le zone di produzione, le rotte marittime e le note sul commercio confermano le plurime realtà.