
OLIVICOLTURA
Gli scavi di Ebla documentano dal III millennio a.C. la presenza del commercio dell’olio in area siro-palestinese, l’unica dove la nomina regale avveniva tramite unzione. Raggiunta la Grecia, l’olio è immediata presenza nell’alimentazione, cosmesi, religione, rituali, agonismo; nella medicina è lenimento, emolliente, componente di unguenti medicamentosi. Nell’economia della Villa di età schiavistica, l’olivicoltura assume lo stesso rilievo della viticoltura. Ne è indicativo il plastico che, nella sala VI, riporta il complesso di una Villa romana in Umbria, costituita dalla pars urbana e dalla pars fructuaria con la presenza di tutte le singole attrezzature. Nella Roma imperiale, l’esteso uso delle terme aumenta la richiesta di unguenti; la cosmesi di olii profumati. In età di talassocrazia romana, il generale utilizzo dell’olio è richiamato dall’analitica riproduzione di una grande nave oneraria con carico oleario, esposta a Roma all’Ara Pacis nel 2015 in occasione della mostra Nutrire l’impero. Storie di alimentazione da Roma e Pompei.
Il Cristianesimo teso allo spirito abolirà le cure del corpo, ma la cristianizzazione esalterà l’olio come medicina e ancor più come rimedio. Le invasioni e il disfarsi dell’impero portano alla dispersione dei testi medici greco-romani; la medicina sopravvive nei monasteri dove l’olio è liturgia, alimentazione, luce. L’invasione islamica riporta alla luce i testi classici: l’olio nuovamente inteso quale potenziale artefice dell’armonia tra natura umana e vegetale è alla base degli insegnamenti della Scuola Medica Salernitana, risalente al X secolo. Le migliorate condizioni di vita, i contatti, l’invenzione della stampa, il fervore rinascimentale richiameranno sempre più ai semplici, presenti negli Orti Botanici e negli Erbari, studiati nelle Università. Con l’avanzare del Rinascimento e la scissione tra medicina accademica e popolare, l’olio permane incontrastato vuoi nella direzione scientifica della prima vuoi nella seconda, sempre più volta alla dimensione magico-religiosa.
Al museo il percorso dell’olivicoltura prende avvio con la premessa botanica riguardante la pianta, avvalorata dalle planches con le cultivar presenti in Umbria, opera di Adelaide Leoni, illustratrice del CNR. Allo stesso Istituto si devono i pannelli che richiamano le fasi e i luoghi dell’estendersi dell’olivicoltura, dalle origini ad oggi. All’Accademia dei Georgofili si deve la riproduzione delle preziose carte d’archivio che rappresentano la coltura dell’olivo, dall’impianto alla raccolta; le riproduzioni sono accompagnate da attrezzi. Al professore Giuseppe Fontanazza sono dovute immagini e note sugli attuali indirizzi dell’olivicoltura. Ancora ai Georgofili appartiene la fotografia (inizi XX secolo) ingrandita a fondale, della raccolta da millenario olivo pugliese. Alla storia del frantoio e alla presenza delle tipologie – a trazione animale e idraulica – segue l’aggiornamento delle tecniche.
Nella sala VI, un gruppo di “cabrei” (carte catastali, particolarmente in uso nei secoli XVII e XIX, di possedimenti di Comunità religiose o di famiglie nobiliari di cui portano l’arme) reca minutamente descritti i coltivati, testimoniando la frequenza dell’olivicoltura in Umbria.