L’OLIO E LE ARTI DEL FUOCO
Tra le arti decorative presenti al museo ad attestare quanto richiamato nei singoli settori eccellono ceramica, vetro, ferro; la codificazione arti del fuoco gioca la sua parte.
CERAMICA
Richiamano le olive sott’olio – o diversamente conservate – tre contenitori popolari di Grottaglie di Puglia. Furono boccali, sbocconcellati per l’uso, resecati, e testimoniano il rapporto – economico e affettivo – che si stabilisce tra l’uomo e l’oggetto anche quando questi è venuto meno al suo originario compito. Nella sala VI, in relazione alla ripresa dell’olivicoltura in una nicchia, sono esposte alcune oliere. Due di esse, da tavola (XVI secolo) hanno smalti sulla gradazione del blu, la scritta “olio” al centro. Accanto alle altre, un grande orcio di gusto seicentesco, terracotta smaltata e decorata, esce dalla fornace Aretini di Monte San Savino. Un notevole gruppo di lucerne in ceramica, antropomorfe, e non, costituisce un nucleo differenziato per brio, fantasia, utilità, come la lucerna per la caccia notturna, del tutto insolita. In ambito islamico una turchese con decori (IX-X secolo) domina il campo. Nel passaggio dalla medicina alla cucina l’allaccio è affidato a un gruppo di albarelli (Napoli, XVIII secolo) e sempre a Napoli appartiene l’oliera rotonda (XVIII secolo) con putti recanti la scritta “olio” in un cartiglio.
VETRO
Noto sin da età mesopotamica, l’ideazione nel I sec. a.C. della soffiatura a canna libera ne consente la metamorfosi in considerazione della massima trasparenza e della libertà dell’ornato così raggiunta. Al MOO è ripetutamente presente: valgano, ad esempio, il porta profumi violaceo con costolature verticali che ha subito forti iridescenze (I-III sec. d.C.). Iridescente è anche una lucerna, apoda, nel settore L’olio come fonte di luce (V-VII sec. d.C.). Di particolare interesse è l’insolita “fiorentina” di Murano, del XVIII secolo. Due lucerne da merlettaie (XVIII secolo) richiamano l’attenzione: realizzate in vetro soffiato e molato, sono analoghe ad altre uscite, tra XVI e XVII secolo, da vetreria toscana. L’affinità sospingerebbe alla stessa produzione, ma l’onnipresenza del merletto, imposta dalla moda, accentua dubbi e propone Burano o Torcello, i luoghi del merletto lavorato en plein air, “ciacolando” nel lagunare silenzio. Due ampolle gemini (“suocera e nuora”, XVIII secolo) richiamano l’attenzione: la verde, spagnola, è arricchita da ornati e volute; la seconda, incisa, raffinata, è di Murano.
Nella vetrina delle oliere, la prima, realizzata su disegno dello Juvarra (vedi i suoi riferimenti alle architetture romane), è dell’argentiere G. B. Carron (Torino, 1770). Tra le molte altre, una déco della Manifattura Christofle (Parigi, 1925) apre a tempi nuovi.
FERRO
Il fabbro, innalzato in Grecia a divinità (Efeso, la fucina nel ventre dell’Etna) da età mesopotamica è figura di alto rilievo per il suo potere di assoggettare il fuoco e lavorarlo secondo le fogge da lui volute: dalla falce alle armi all’arredo. In un museo a soggetto agricolo il ferro è innanzi tutto presenza primaria negli attrezzi; per essi, intelligenza e buon senso contadino hanno ideato impugnature individuate in conformazioni anomale di legni, ma “l’arma” è antica ideazione del fabbro. Zappa, vanga, pala, sega, martello, falce, “malimpeggio” sono i mezzi ai quali dobbiamo l’olivicoltura. Altra presenza del ferro è quella delle lucerne che a tutti i livelli rendono praticabile la notte, dalla strada alla stalla, alle case. Gli esempi sono molteplici, dalle medioevali alla generalizzata tipologia “a barca”, a sospensione; tra esse una senese, talmente raffinata da chiamare in causa come artefice un orafo. Un accenno alla cucina: di ferro sono gli alari e quante impugnature di lucenti rami consentano la sicurezza dal fuoco.